Per l’incompatibilità dei docenti il danno erariale non scatta subito

Lo svolgimento di attività incompatibili con lo status di docente universitario a tempo pieno non
determina di per sé danno erariale, occorrendo a tal fine la prova del nocumento che in concreto
sia derivato dalla corresponsione dello stipendio a fronte dell’attività regolarmente prestata dal
docente. L’interessante principio emerge dalla sentenza della Corte dei conti sezione
giurisdizionale della Liguria n.25 del 16 aprile scorso che ha giudicato il caso di un professore
universitario che aveva esercitato attività «dell’industria e del commercio» e attività liberoprofessionale
senza la prescritta autorizzazione prevista dallo status di dipendente pubblico.
Le contestazioni al docente
In particolare la procura regionale della Corte dei conti chiedeva il risarcimento nei confronti
dell’Università di appartenenza del professore di una somma di oltre 300mila euro. In
particolare oltre alle accuse relative allo svolgimento di attività professionale si evidenziava che
il docente era stato amministratore unico, per un certo periodo di una società. In questo quadro
la procura evidenziava che comunque il dipendente avrebbe violato la previsione dell’articolo 53
del Dlgs 165/2001 che prevede l’autorizzazione da parte della pubblica amministrazione per lo
svolgimento degli incarichi retribuiti ma anche l’articolo 60 del testo unico degli impiegati civili
dello stato che (Dpr n.3/1957) che vieta l’esercizio dell’industria e del commercio. Inoltre si
evidenziava da parte del docente un comportamento di occultamento doloso per non aver
comunicato al proprio ateneo fatti che era necessario ai sensi delle norme comunicare.
L’esclusione del danno erariale
La sezione ligure della Corte dei conti in primis va a verificare se esiste effettivamente il danno
che com’è noto rappresenta il presupposto indefettibile della responsabilità amministrativa. Nel
caso di specie la Corte ritiene che per qualificare la responsabilità amministrativa è
indispensabile che ci sia un danno concreto e attuale per l’erario. Pertanto non esiste
automatismo tra violazione delle norme sull’incompatibilità e danno per la pubblica
amministrazione come vorrebbe dimostrare la procura poiché anche se ai sensi dell’articolo 60
sopracitato è previsto nei casi più gravi la decadenza dall’impiego, nessuna norma dispone che
la trasgressione del divieto di svolgere determinate attività integra un danno erariale. Lo stesso
principio è stato espresso dalla giurisprudenza in situazioni analoghe , si pensi alle attività
incompatibili esercitate da un docente a tempo pieno occorendo sempre la prova del danno
all’ateneo e non la presunzione assoluta dello stesso (Corte dei conti sezione giurisprudenziale
Emilia Romagna n.14/2014 ). Inoltre nel caso di specie considerato non si è dimostrato che
l’esercizio di attività vietate abbia avuto ripercussioni nell’attività di docente vista anche la
produzione scientifica e lo svolgimento di attività didattica nel periodo di riferimento.
Le responsabilità accertate
La Corte pertanto mentre esclude la qualificazione del danno con riferimento ai periodi di
svolgimento delle attività vietate (anche in considerazione del fatto che il docente in alcuni di
essi era a tempo definito) dall’altra esamina l’ultima voce di danno che riguarda le somme
percepite dal docente nei giorni in cui era assente ai Consigli di facoltà e di Dipartimento. Dal
momento che la partecipazione agli organi costituisce per il docente un obbligo ai sensi
dell’articolo 10 comma 2 del dpr 383/80 e successive modifiche, in questo caso non è possibile
escludere il danno. In questi giorni di assenza il professore non ha svolto alcuna attività e quindi
la somma va restituita all’ateneo.

L’articolo è stato scritto dal dott. Tedesco e pubblicato su Scuola24 in data 29.04.2015