Consiglio di Stato boccia l’appello dell’Anac sulle Università libere

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dell’Anac avverso la sentenza del Tar Lazio che aveva stabilito la non applicabilità delle norme in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza alle università cosiddette libere.

Tutto il dibattito si volge intorno alla definizione di ente pubblico e più in particolare a tale definizione con riguardo alle università libere, con specifico riferimento all’applicabilità del dlgs 33/2013.

Il Consiglio di Stato pur pervenendo alle medesime conclusioni, ha seguito una strada argomentativa diversa dal Tar Lazio, censurandone esplicitamente l’approccio meramente formalistico basato sull’applicazione acritica della legge n. 70 del 1975,  che prevede espressamente che “nessun nuovo ente pubblico possa essere istituito se non per legge”, e sull’affermazione secondo cui che, ai fini di determinare l’applicabilità o meno di una disciplina legislativa pubblicistica, debba privilegiarsi una nozione “statica” e “formale” di pubblica amministrazione.

Il Consiglio di Stato ritiene invece che l’individuazione dell’ente pubblico debba avvenire in base a criteri non “statici” e “formali”, ma “dinamici” e “funzionali”: ciò implica che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e la relativa definizione non è fissa e immutevole. Ebbene, proprio per questo, nonostante gli orientamenti giurisprudenziali che, in alcune occasioni (in particolare ai fini del
riparto della giurisdizione sulle controversie concernenti il rapporto di impiego o della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per le controversie aventi ad oggetto la responsabilità di amministratori e dipendenti), hanno affermato la loro equiparazione agli enti pubblici, dando rilevanza gli scopi, alla struttura organizzativa e ai poteri amministrativi ritenuti del tutto analoghi a quelli delle Università statali (così testualmente, ad esempio, Cass. Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5054, riferita alla L.U.I.S.S.), tali arresti giurisprudenziali non possono essere invocati per sostenere, sic et simpliciter, una completa equiparazione, ad ogni fine, tra Università private ed enti pubblici. La nozione cangiante di ente pubblico impedisce, infatti, di estendere automaticamente la qualifica pubblicistica riconosciuta a un ente in determinati ambiti, al fine di giustificare automaticamente la sua integrale soggezione alla disciplina di diritto pubblico.

Partendo da tale assunto il Consiglio di Stato rispetto all’applicazione degli obblighi in materia di trasparenza e di pubblicità debba escludersi la qualificazione delle c.d. libere Università in termini di ente pubblici perché l’art. 33 Cost. che, al comma 1, riconosce la libertà di insegnamento, al comma 3, stabilisce il diritto di “enti e privati” di istituire scuole e istituti di educazione, e, all’ultimo comma, riconosce alle Università “il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”, comporta non solo che i privati possano promuovere l’istituzione di centri di istruzione, ma anche che a questi centri istituiti da privati debba essere garantita una natura sostanzialmente privata, per rispettare il principio di “autonomia ordinamentale” e di “libertà” che ad essi la Costituzione garantisce. L’art. 33 Cost. preclude, pertanto, alla legge di operare una sostanziale “pubblicizzazione” delle Università non statali, imponendo ad esse obblighi, anche in materia di trasparenza e pubblicità,
preordinati ad introdurre una forma di controllo pubblicistico e collettivo, che contrasterebbe con la natura sostanzialmente privata che effettivamente le connota.

A questo link è possibile leggere la sentenza completa del Consiglio di Stato.