Chiamate dei professori precluse a chi ha già prestato servizio presso l’Ateneo
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 3626 del 12 Agosto 2016 ha definito con chiarezza chi può partecipare alle procedure di chiamata escludendo dalle stesse i professori a contratto e in generale chi ha avuto con l’ateneo rapporti di lavoro a tempo determinato.
In particolare la disposizione di cui all’articolo 18 della legge n. 240 del 2010, la cui rubrica reca «Chiamata dei professori», dispone che «Ciascuna università statale, nell’ambito della programmazione triennale, vincola le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell’ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a corsi universitari nell’università stessa», deve essere intesa nel senso di precludere la partecipazione alla procedura a tutti coloro che, a qualunque titolo, abbiamo prestato servizio presso l’università, alla luce sia di una interpretazione letterale sia della ragione giustificatrice della norma stessa. In relazione al primo aspetto, la disposizione è chiara nell’imporre il divieto a tutti coloro che «hanno prestato servizio» presso l’ateneo. Né consegue che il termine servizio viene inteso dal supremo consesso in senso ampio non solo con riferimento alle posizioni di ruolo ma anche ad esempio per quelle a contratto se pensiamo che il rapporto del professore, quantunque a contratto, può dipanarsi per l’intero anno accademico. Se il legislatore avesse voluto limitare l’ambito applicativo della norma soltanto a coloro che hanno stipulato con l’amministrazione un contratto a tempo indeterminato avrebbe dovuto esplicitarlo in maniera chiara.
In relazione al secondo aspetto, la ragione giustificativa della norma è quella di attuare il principio costituzionale di imparzialità dell’azione amministrativa, escludendo che possano essere chiamati soggetti che hanno avuto rapporti con l’università e che, pertanto, potrebbero «astrattamente» ricevere un trattamento preferenziale nell’ambito della procedura competitiva. Questo argomento si presenta più convincente considerando che tra i criteri di valutazioni delle commissioni lo svolgimento di attività lavorative anche a contratto e quindi a tempo determinato nell’ambito della didattica e della ricerca comporta generalmente una valutazione nelle procedure di reclutamento. Non può, pertanto, evocarsi utilmente il principio della massima partecipazione in presenza di una volontà legislativa di limitare l’applicazione di tale principio in attuazione di prevalenti esigenze di rilevanza costituzionale.
Questa pronuncia porterà qualche problema agli atenei perché forse molte attività programmatiche si erano svolte in previsione di reclutamenti di soggetti che già gravitavano nell’alveo degli atenei per lo svolgimento di attività svolte anche in modo sporadico o con rapporti di lavoro a tempo determinato.
Il presente articolo è stato scritto dal dott. Vincenzo Tedesco e pubblicato su Scuola24 in data 01.09.2016