Trasparenza e Anti-Corruzione; la nuova frontiera del manager pubblico
Nel mese di Maggio 2016 è stato pubblicato il testo “Trasparenza e Anti-Corruzione; la nuova frontiera del manager pubblico” a cura di Pietro Previtali, Raffaella Procaccini e Andrea Zatti per la Pavia University Press.
Il testo contiene numerosi contributi forniti, tra l’altro, dal dott. Vincenzo Tedesco, il quale parla di “Trasparenza e Anti-Corruzione: vincoli e opportunità per la pubblica amministrazione”.
Nelle righe seguenti è possibile leggere la prima parte della Prefazione, scritta dal Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia, Cesare Maragoni.
<<C’era un Paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza, per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua armonia>>.
Inizia così l’Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Italo Calvino; un paese dove, per ottenere il riconoscimento di un diritto, è naturale ricorrere al sotterfugio, alla scorciatoia, all’aiuto, all’appoggio, all’intercessione, alla buona parola, al buon ufficio, alla presentazione, alla segnalazione, alla spintarella, al favore dell’amico, alla mitica raccomandazione. È proprio su questa necessità – come nella favola delle api di Bernard de Mandeville – che vive e prospera la corruzione, ovvero il disfacimento, il mercimonio, la decomposizione dell’essenza stessa dello Stato di diritto. La corruzione non è certo un fenomeno recente, se è vero che molte personalità del passato sono state coinvolte in scandali che, se razionalmente approfonditi, ne metterebbero seriamente in discussione la grandiosità storica per la quale sono ricordati, studiati, portati ad esempio. Nel V secolo a.C. l’‘incorruttibile’ Pericle fu sospettato di aver lucrato sui lavori pubblici per la costruzione del Partenone, e lo scultore che su suo incarico sovraintese tra il 447 e il 432 a.C. ai lavori, Fidia, fu trascinato in giudizio con l’imputazione di aver sottratto parte dell’oro destinato alla statua di Atena. Riferisce Plutarco che un secolo dopo, nel 324 a.C., Demostene, il difensore dell’indipendenza ateniese da Filippo il Macedone e da Alessandro Magno, fu pesantemente implicato nell’‘affare Arpalo’ (la sparizione di metà del patrimonio sottratta ad Alessandro dal suo tesoriere) e costretto all’esilio. Racconta Svetonio che pure su Giulio Cesare gravò il sospetto di essersi procurato illecitamente grandi quantità di denaro. Un sospetto che è aleggiato anche sui suoi uomini e sui suoi rivali: «gli abiti dei suoi governatori erano fatti solo di tasche», ha scritto Bertolt Brecht ne Gli affari del signor Giulio Cesare; e Montesquieu – nelle Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza – estese l’accusa di malversazione a Crasso e Pompeo, rei di aver introdotto «l’uso di corrompere il popolo con i soldi».
Nei secoli il trend non è assolutamente mutato. L’ultima edizione della classifica annuale di Transparency International relativa all’indicatore CPI (Corruption Perception Index), vale a dire della corruzione percepita nella pubblica amministrazione, pone per il 2015 l’Italia al 61° posto, a pari merito con Lesotho, Senegal, Sudafrica e Montenegro. Dietro di noi, in Europa, solo la Bulgaria. Negli anni precedenti abbiamo oscillato attorno alla 70a posizione. Quindi un leggero miglioramento, ancora troppo presto per dire che si è davanti ad una svolta, ma un piccolo segnale che non va sottovalutato: forse la strada intrapresa può essere quella giusta. In effetti, nel nostro Paese non si è mai affrontato in modo strutturale il tema della prevenzione della corruzione, lasciando di fatto alle sole forze dell’ordine e ai tribunali sia il compito di reprimere, sia quello di prevenire. Eppure dalla classifica di Transparency International a quella della World Bank, al rapporto anticorruzione dell’Unione Europea sono anni che l’opinione pubblica – nazionale e internazionale – ci addita su questo tema come la cenerentola dei paesi economicamente più sviluppati. Dando dunque per assodato che il problema corruttivo sia ben radicato nel nostro paese, come possiamo risolverlo, nell’auspicio di avvicinarci, tra 10-15 anni, alla top ten dei paesi virtuosi?
A mio sommesso avviso diventa cruciale la ‘politica di prevenzione’ che l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) sta sviluppando in un intreccio virtuoso di regole e di cultura, di law e di soft law. E in tal senso si muove il Legislatore, che nell’ultimo provvedimento emanato ha rafforzato i poteri dell’ANAC, con l’obiettivo di trasformare l’authority di vigilanza anche in un regolatore del mercato. E in effetti a livello di regole di prevenzione probabilmente il quadro è chiaro, anche se tutto è perfettibile e in continuo divenire. Sul fronte della corruzione ‘dai privati verso la p.a.’ abbiamo il decreto legislativo 231 del 2001; sul fronte della corruzione ‘dentro la p.a.’ la legge 190 del 2012[…].>>
Se interessati a saperne di più, potete trovare il testo su Pavia University Press.